a cura di Vittoria Orsenigo
1 Plastica e microplastiche: dalla comodità al problema
2 Microplastiche: i rischi e le proposte
Continuiamo il viaggio tra le microplastiche e i loro effetti sui diversi organismi. Anche se i risultati non sono ancora definitivi, sono tuttavia sufficienti per suscitare allarme e per segnalare quanto il problema della diffusione delle microplastiche e dei loro effetti sia preoccupante e tale da doversene preoccupare attivamente.
Abbiamo parlato della loro diffusione nell’ambiente e ora accenniamo ai rischi che il loro contatto può causare agli organismi umani e animali.
Il rischio per gli animali
Nel 2012, la Convenzione sulla diversità biologica di Montreal ha dichiarato che tutte le sette specie di tartarughe marine, il 45% delle specie di mammiferi marini e il 21% delle specie di uccelli marini subivano le conseguenze della presenza della plastica nel mare. Nel decennio successivo, il numero delle specie coinvolte e i relativi rischi sono aumentati. Oltre 700 specie di animali subiscono l’inquinamento da plastica. È probabile che centinaia di milioni di uccelli selvatici ingeriscano plastica, secondo il parere degli scienziati, e si ritiene che entro la metà del secolo questo effetto interesserà tutte le specie di uccelli marini del pianeta.
Gli studi condotti sugli animali hanno mostrato l’onnipresenza dei rifiuti plastici e hanno aiutato a informare i ricercatori sui potenziali effetti fisiologici e tossicologici sull’uomo.
I rischi per l’uomo
I rischi per l’uomo derivanti dalle microplastiche (MP) possono essere di natura fisica, chimica o microbiologica.
I rischi fisici sono dovuti alle ridotte dimensioni delle MP (e anche delle nanoplastiche) che possono attraversare le barriere biologiche – come la barriera intestinale, ematoencefalica, testicolare e persino la placenta – e causare danni diretti, in particolare all’apparato respiratorio e all’apparato digerente, quali i primi apparati con cui le MP entrano in contatto.
I rischi chimici derivano dalla presenza di contaminanti, come i plasticizzanti (ftalati, bisfenolo A) o i contaminanti persistenti (ritardanti di fiamma bromurati, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili) presenti nelle microplastiche. Infatti, le MP possono essere veicolo di sostanze potenzialmente pericolose di natura organica oppure inorganica: attualmente esistono pochi dati sulla presenza e concentrazione di metalli nelle MP e sulle sostanze contaminanti associate.
Molti di questi, visto la loro attività che interferisce con il sistema endocrino, possono provocare danni a carico dello stesso sistema, causare problemi al sistema riproduttivo e al metabolismo sia nei figli di genitori che sono stati esposti alle microplastiche durante la gravidanza, sia in età adulta a seguito di esposizione nelle prime fasi di vita (neonatale, infanzia, pubertà).
Recenti studi hanno dimostrato che l’inquinamento da parte delle microplastiche ha raggiunto la catena alimentare interessando non solo la fauna marina ma anche alimenti come il sale marino, la birra e il miele. Nonostante non siano stati condotti studi specifici, c’è anche la possibilità che i frammenti arrivino sulle nostre tavole attraverso la carne: infatti, pollame e suini vengono nutriti anche con farine ricavate da piccoli pesci che possono essere contaminati.
Inoltre, come se non bastasse, le MP possono trasportare sulla loro superficie microrganismi in grado che possonoi causare malattie: batteri come Escherichia coli, Bacillus cereus e Stenotrophomonas maltophilia sono stati rilevati in MP raccolte al largo delle coste del Belgio.
Cosa si può fare
La prima regola per alleggerire almeno la questione rifiuti è inquinare meno, ridurne almeno il numero. A dirlo è lapalissiano, a metterlo in pratica non lo è. Ognuno di noi è convinto della necessità della responsabilità ambientale, ma nella pratica quotidiana ci sentiamo così piccoli e ininfluenti, che ce lo dimentichiamo facilmente.
Allora, ripetiamolo. Le buone regole per ridurre le MP è importante evitare l’acquisto e l’uso di oggetti in plastica, eliminare la plastica monouso, evitare l’acquisto di capi usati in tessuti sintetici. E ancora: fare correttamente la raccolta differenziata, evitare di disperdere la plastica nell’ambiente, utilizzare la lavatrice a pieno carico, con detersivo liquido e a basse temperature.
Anche adottare un approccio plastic free scegliendo beni di consumo con un packaging sostenibile aiuta a minimizzare la quantità dei rifiuti che possono finire negli ecosistemi marini e nei corsi d’acqua.
La politica dei piccoli passi è un buon inizio. Un esempio? Si può prendere parte a iniziative che promuovono la pulizia del mare e la raccolta dei rifiuti, come per esempio le iniziative di raccolta rifiuti organizzate da Gruppo Iren.
Il Gruppo Iren, chi sono e di cosa si tratta
Il Gruppo Iren è una Spa che opera come multiservizi, in particolare nella produzione e distribuzione di energia elettrica, nei servizi di teleriscaldamento (di cui è il maggior operatore italiano) nella gestione dei servizi idrici integrati, dei servizi ambientali e tecnologici.
IREN è nata il 1º luglio 2010 dalla fusione tra IRIDE, la società che nel 2006 aveva riunito AEM Torino e AMGA Genova, ed ENÌA, l’azienda nata nel 2005 dall’unione tra AGAC Reggio Emilia, AMPS Parma e Tesa Piacenza.
La società è quotata presso la Borsa Valori di Milano nell’indice FTSE Italia Mid e figura tra le 25 maggiori aziende italiane per fatturato servendo un bacino di circa 2 milioni di clienti nel settore energetico, 2,8 milioni di abitanti nel ciclo idrico integrato e oltre 3,1 milioni di abitanti nel ciclo ambientale.
E dopo questa sintetica presentazione, vediamo come e dove opera.
Proprio quest’estate proprio, il Gruppo è intervenuta sulla tutela dei mari e ha focalizzato una delle iniziative di pulizia marina a La Spezia: i volontari, in compagnia di un esperto in microplastiche che ha illustrato impatti e rischi legati all’inquinamento marino e al cambiamento climatico, si sono dedicati alla pulizia delle acque.
L’iniziativa è stata resa possibile grazie all’Associazione di Promozione Sociale Per Il Mare della Spezia che ha messo a disposizione per un giorno l’imbarcazione Moby Dick. Durante la giornata sono stati raccolti 1,5 kg di rifiuti, tra cui microplastiche e microfibre abbandonate in mare: i dati ottenuti saranno trasmessi alle Università per il loro monitoraggio e permetteranno una maggiore comprensione dell’ecosistema marino.
Questa iniziativa fa parte del più ampio progetto “La PLAstica e il CAmbiamento cLimAtico – progetto PLACALA”: le attività di biomonitoraggio delle microplastiche marine hanno il compito di preservare l’ambiente marino e, al tempo stesso, sensibilizzare l’opinione pubblica verso un corretto conferimento dei rifiuti e una maggior attenzione nelle abitudini quotidiane. Un modo concreto per fare la differenza a partire dai piccoli gesti.
Orizzonti più ampi per risultati ad ampio raggio
Secondo l’OCSE, l’Organizzazione internazionale per lo Sviluppo Economico, è necessario operare con una prospettiva molto allargata, e per invertire la tendenza dell’inquinamento ambientale è necessario tra l’altro creare un mercato separato e ben funzionante per la plastica riciclata. Un futuro di impegno e di lavoro, ma altrimenti, che alternative abbiamo?
UE: le misure per limitare l’aggiunta delle MP
A fine settembre la Commissione Europea ha adottato adottando misure che limitano l’aggiunta intenzionale di microplastiche a prodotti disciplinati dalla legislazione REACH dell’UE sulle sostanze chimiche.
Con queste nuove norme, che impediranno il rilascio nell’ambiente di circa mezzo milione di tonnellate di microplastiche, sarà vietata la vendita di microplastiche e dei prodotti che le contengono (che vengono aggiunte e che le liberano quando si utilizzano). Nei casi giustificati si applicheranno deroghe e periodi transitori per consentire agli interessati di adeguarsi alle nuove norme.
La restrizione adottata si basa su un’ampia definizione di microplastiche, in cui rientrano tutte le particelle di polimeri sintetici inferiori a 5 mm che siano organiche, insolubili e resistenti alla degradazione. L’obiettivo è ridurre le emissioni di microplastiche intenzionali dal maggior numero possibile di prodotti. Fra i prodotti comuni interessati da questa restrizione vi sono:
- il materiale granulare da intaso utilizzato per le superfici sportive artificiali, che costituisce la principale fonte di microplastiche utilizzate intenzionalmente nell’ambiente;
- i cosmetici, nel cui ambito le microplastiche sono utilizzate per molteplici scopi, quali l’esfoliazione (micrograni) o l’ottenimento di una specifica consistenza, fragranza o colore;
- detergenti, ammorbidenti per tessuti, glitter, fertilizzanti, prodotti fitosanitari, giocattoli, medicinali e dispositivi medici eccetera.
I prodotti utilizzati nei siti industriali o che non rilasciano microplastiche durante il loro impiego sono esentati dal divieto di vendita, ma i relativi fabbricanti dovranno fornire istruzioni su come utilizzarli e smaltirli per evitare emissioni di microplastiche.
Le prossime tappe
Le prime misure, come il divieto di micrograni e glitter sciolti, inizieranno ad applicarsi tra 20 giorni, con l’entrata in vigore della restrizione. In altri casi il divieto di vendita sarà applicato dopo un periodo più lungo, per dare ai portatori di interessi il tempo di sviluppare e adottare alternative.
La Commissione è impegnata a combattere l’inquinamento da microplastiche, come ribadito nel Green Deal europeo e nel nuovo piano d’azione per l’economia circolare. Nel piano d’azione per l’inquinamento zero, la Commissione ha fissato come obiettivo la riduzione del 30 % dell’inquinamento da microplastiche entro il 2030.
Nell’ambito di questi sforzi la Commissione si sta adoperando per ridurre l’inquinamento da microplastiche da diverse fonti: rifiuti in generale e rifiuti in plastica, rilasci accidentali e non intenzionali (ad esempio perdita di pellet di plastica, degrado di pneumatici o rilascio da indumenti), oltre agli usi intenzionali nei prodotti.
Per affrontare il problema dell’inquinamento da microplastiche prevenendo nel contempo il rischio di frammentazione nel mercato unico, la Commissione ha chiesto all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di valutare il rischio rappresentato dall’aggiunta intenzionale di microplastiche ai prodotti e l’eventuale necessità di un’ulteriore azione normativa a livello di UE.
L’ECHA ha rilevato che le microplastiche aggiunte intenzionalmente a determinati prodotti sono rilasciate nell’ambiente in modo incontrollato, e ha raccomandato di limitarle. Sulla base delle prove scientifiche fornite dall’ECHA, la Commissione ha elaborato una proposta di restrizione ai sensi del regolamento REACH che è stata adottata dopo l’approvazione degli Stati membri dell’UE, del Parlamento europeo e del Consiglio.
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