Plastica e microplastiche: dalla comodità al problema

Foto M.Danny25, CC BY-SA 4.0, Wikimedia Commons

a cura di Vittoria Orsenigo

 

1 Plastica e microplastiche: dalla comodità al problema

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Le materie plastiche indubbiamente ci hanno semplificato la vita: leggere e meno costose a confronto con altri materiali, vivaci e colorate, hanno fatto un ingresso trionfale nelle nostre abitudini. Sono ubiquitarie, usate in ogni settore produttivo e in ogni attività, prodotte in differenti dimensioni (macro-, micro-, nano-plastiche) e forme (frammenti, sfere, fibre), secondo la necessità dell’utilizzo finale.

Ma dopo anni di onorato servizio e di utilizzo sfrenato, adesso è il momento dei ‘ma’, anche perché – e non è certo una scoperta recente – l’uso massiccio delle materie plastiche nelle diverse forme e dimensioni rappresenta un pericolo per l’ambiente e anche per le forme vitali sul nostro pianeta. Incluso l’uomo.

Cosa sono le materie plastiche

Sono materiali organici, cioè le molecole sono costituite da atomi di carbonio (C) che si legano – con legami covalenti – principalmente ad atomi di idrogeno (H), ossigeno (O) e azoto (N) ad alto peso molecolare. Possono essere costituite da polimeri puri o in miscela con additivi, i poloimeri più comuni sono sintetici, prodotti a partire dai derivato del petrolio (ma ce ne sono anche da altre fonti).

La IUPAC, Unione internazionale di chimica pura e applicata, definisce le materie plastiche come: ‘materiali polimerici che possono contenere altre sostanza finalizzate a migliorarne le proprietà o ridurre i costi ‘ e raccomanda di usare il termine ‘polimeri’ invece di quello generico di ‘plastiche’. Chiediamo subito venia se ci prenderemo qualche libertà…

Partiamo da lontano, con un po’ di storia

La parola ‘plastica’ deriva dal greco ‘plassein’ che significa “formare, plasmare”. In italiano ‘plastica’ significa ‘sostanza in grado di acquisire e conservare qualsiasi forma’ e ‘arte del modellare’.

La storia della plastica ha inizio nel 1862, quando il chimico inglese Alexander Parkes crea e brevetta il primo materiale plastico semisintetico, la Parkesina (più nota poi come Xylonite). È nel 1869, però, che il nuovo materiale assume un carattere industriale,e questo accade grazie al gioco del biliardo. Poiché le palle da biliardo erano fatte in materiali preziosi e molto costosi, era stato indetto un premio per chi avesse proposto una valida alternativa più economica. John Wesley Hyatt si fa avanti e perfeziona la formula di Parkes, mescolando cellulosa e canfora ottenendo la celluloide: la Hyatt Manufacturing Company è la prima azienda al mondo a produrre materie plastiche.

Nel 1907 il chimico belga Leo Baekeland ottiene la prima resina termoindurente di origine sintetica, che brevetta tre anni dopo con il nome di Bakelite.

Nel 1912 il tedesco Fritz Klatte scopre il processo per la produzione del PVC, che avrà grandissimi sviluppi industriali solo molti anni dopo; nel 1913 viene inventato il Cellophane, utilizzato fin da subito nell’imballaggio merci.

Gli anni Trenta e la Seconda Guerra Mondiale segnano il passaggio definitivo verso quella che viene definita l’Era della Plastica, con la creazione di una vera e propria industria moderna.

I tipi di polimeri

Ce ne sono diversi tipi, ognuno con le proprie caratteristiche e usi. Rinnovabili verdi, i principali tipi di plastica sono:

– PET o PETE: polietilene tereftalato. È trasparente e non suda. Viene utilizzato per bottiglie, contenitori per alimenti e altri prodotti. È uno dei materiali più riciclati.

HDPE: polietilene ad alta densità. Si trova in prodotti come tetrabrik, alcuni contenitori per alimenti, contenitori per cosmetici, prodotti per la pulizia, alcuni tubi, ecc.

– PVC: cloruro di polivinile. Viene utilizzato per fare grondaie, cavi, tubi, alcune bottiglie e caraffe. Può anche essere trovato nelle bancarelle del traffico, nelle bottiglie di detersivi liquidi e in alcune confezioni di cibo. Si è scoperto che è uno dei tipi di plastica più pericolosi per la salute e l’ambiente.

LDPE: polietilene a bassa densità. Si trova in prodotti come sacchetti per la spesa, pellicole per alimenti, contenitori per alimenti, ecc.

– PP: polipropilene. Si trova in prodotti come contenitori per alimenti, tappi, bottiglie, ecc.

– PS: polistirolo. Si trova in prodotti come bicchieri, piatti, contenitori per alimenti, ecc. *

Recenti studi hanno stimato che circa 2,5 milioni di microplastiche finiscono ogni anno nell’oceano e 430.000 tonnellate di questa ‘invasione’ si accumulano nel suolo in Europa.

L’inquinamento da plastica è come un iceberg: delle 8 milioni di tonnellate che ogni anno finiscono in mare, solo una minima parte è visibile. Il resto è composto da microplastiche, frammenti inquinanti minuscoli e invasivi: piccoli inquinanti che si accumulano negli ecosistemi marini causando danni gravissimi all’ambiente. Ma il problema non è solo degli ambienti marini: le microplastiche Anche l’atmosfera contiene microplastiche e nanoplastiche e le trasporta ovunque. Non solo, la presenza è stata rilevata in 201 specie di animali che noi mangiamo, nell’acqua potabile e in alimenti per il consumo umano.

A proposito di microplastiche

Attualmente, non esiste una definizione di microplastiche (MP) riconosciuta a livello internazionale. Si parla genericamente di una miscela eterogenea di materiali di forma differente – frammenti, fibre, sfere, granuli, pellets, fiocchi o perle – di dimensioni da 1 micrometro (µm) a 5 mm (millimetri). Una distinzione viene operata fra MP primarie o secondarie.

Le MP primarie sono plastiche prodotte intenzionalmente in dimensioni ridotte, per essere usate, ad esempio, nei cosmetici (prodotti per il trucco, detergenti, dentifrici), nelle vernici, nelle paste abrasive e nei fertilizzanti, per le loro proprietà abrasive, esfolianti e leviganti o per il mantenimento dello spessore, aspetto e stabilità del prodotto.

Le MP secondarie sono originate dall’usura, dal deterioramento e dalla frammentazione di materiali in plastica di dimensioni maggiori, compresi tessuti sintetici e copertoni delle ruote. Infatti, la plastica presente nell’ambiente – che spesso deriva dallo smaltimento non corretto dei prodotti di consumo – presenta processi di degradazione molto lenti pera causa della luce, dei processi termo-ossidativi o di biodegradazione che indeboliscono l’integrità del materiale, quindi si frammentano in parti più piccole di 5 mm. Le MP secondarie costituiscono la quota maggiore delle MP disperse nell’ambiente.

I composti chimici identificati nelle MP presenti in ambiente acquatico – le più studiate – sono sostanze comunemente utilizzate nei prodotti di consumo, come polietilene, polipropilene e polistirene (dati relativi alle coste del Mediterraneo), polietilene tereftalato (in Nord Europa). I polimeri contengono, in media, il 4% di additivi utilizzati per modificarne il colore (coloranti, pigmenti), per migliorare o modificare le proprietà meccaniche (riempitivi, rinforzanti), per migliorarne la resistenza al calore, ai raggi ultravioletti e all’invecchiamento (antiossidanti, filtri, stabilizzanti), per renderli resistenti al fuoco (ignifughi, ritardanti di fiamma) per migliorarne le prestazioni (plasticizzanti, lubrificanti, sbiancanti, ecc.). Inoltre, le MP possono assorbire sulla loro superficie contaminanti chimici e contenere sostanze inorganiche come alluminio, titanio, bario, zolfo, ossigeno e zinco.

Le nanoplastiche (NP), generalmente prodotte nei processi di frammentazione delle MP, sono particelle di dimensioni comprese tra 0,001 e 0,1 µm (da 1 a 100 nanometri) e per questo ricadono nella definizione corrente di nanomateriali (Raccomandazione 2011/696/UE). Le informazioni finora disponibili sulle NP sono scarse, soprattutto perché mancano metodi validati per la loro rilevazione e quantificazione.

La situazione negli oceani

Secondo l’ultimo rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente UNEP, ogni chilometro quadrato di oceano contiene in media 63,320 particelle di microplastica, con differenze in base alle regioni prese in esame. Ad esempio, nel Sud est asiatico il livello è 27 volte maggiore rispetto ad altre zone. Il Mediterraneo è uno dei mari più inquinati al mondo: qui si concentra il 7% delle microplastiche a livello globale.

Il Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo (EPRS)  mette in evidenza che ogni anno finiscono negli oceani dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di plastica. Quello che è visibili sulle nostre coste sono solo alcuni dei rifiuti che ingombrano il mare, dato che la maggior parte viene trascinata al largo dalle correnti e lì rimane a contaminare l’ambiente. Le cause sono principalmente le attività umane unite a una gestione inefficiente dei rifiuti. Ad avere un peso rilevante nella proliferazione delle microplastiche sono anche le attività in mare come pesca intensiva, acquacoltura e navigazione, che provocano la dispersione in acqua di nasse, reti e cassette per il trasporto del pesce.

L’UNEP ha collocato il problema della plastica nei mari e negli oceani tra le sei emergenze ambientali più gravi. Se non si interviene subito – ammonisce – entro il 2050 ci sarà più plastica che pesce nei nostri mari. Inoltre, l’importanza degli oceani e la loro tutela sono stati inseriti anche fra gli obiettivi dell’Agenda 2030 dalle Nazioni Unite (in particolare l’obiettivo 14) e recentemente, dopo 15 anni di negoziati, gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno finalmente raggiunto un accordo per proteggere l’alto mare.

Non solo nell’acqua

La contaminazione ambientale delle MP riguarda anche le acque dolci, i sedimenti, il terreno e l’aria. Diversi studi suggeriscono che il loro inquinamento può essere anche maggiore rispetto a quello dei mari e, dunque, anche esse rappresentano una fonte di esposizione per l’uomo. La popolazione è esposta alle microplastiche attraverso l’ambiente (per esempio con l’inalazione di microplastiche presenti in aria) ma anche attraverso il consumo di cibi o all’utilizzo di tessuti o cosmetici. L’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha effettuato una stima dell’esposizione umana alle microplastiche negli alimenti, sulla base del riscontro delle MP negli alimenti. Recenti studi hanno dimostrato che l’inquinamento da MP giunge alla catena alimentare non solo per gli animali che abitano i mari, ma anche attraverso alimenti come il sale (marino), la birra e il miele.

Non ci sono ancora studi specifici sull’argomento, ma anche la carne può essere imputata, perché polli e suini sono nutriti anche con farine derivate da piccoli pesci (che possono essere contaminati).

Nell’aria

Le microplastiche presenti nell’aria derivano dalla sospensione delle MP nelle acque o nei terreni, dall’abrasione dei materiali o dei tessuti sintetici: per esempio, le MP rilasciate da pneumatici delle auto o delle moto nel traffico sono la principale fonte di esposizione alle MP negli ambienti esterni; le fibre di MP dei tessuti, invece, sono la principale fonte di esposizione negli ambienti chiusi. Anche la polvere è un fattore importante, anche se gli ultimi fattori sono di minore entità.

*Fonte: Rinnovabiliverdi

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