Prima di parlare dei topi e dei ratti potrebbe risultare interessante occuparci dell’Ordine dei roditori. A questo grande gruppo di animali appartengono numerose famiglie accomunate da una particolare dentatura costituita da due incisivi taglienti come scalpelli, a crescita continua. In questo assomigliano molto ai “cugini” lagomorfi (lepri e conigli), che però hanno un secondo paio di incisivi assai ridotti. Fra i roditori annoveriamo gli scoiattoli, (a titolo di curiosità ricordiamo l’esistenza in Finlandia di una specie “volante”: Pteromys volans); le marmotte (abitatrici delle Alpi intorno ai 2.000 metri di quota); i castori (è il più grosso roditore europeo, ormai confinato nelle valli dell’Elba e del Rodano, è stato soppiantato in alcuni areali dal cugino canadese); l’iracondo istrice (è il più grosso rappresentante dei “rodenta” italiani, armato di forti aculei è solito, se infastidito o attaccato, “ingranare la retromarcia” e correre all’indietro per conficcare gli aculei nella pelle del nemico); la nutria detta anche “castorino” (di origine sud americana ne è stato introdotto l’allevamento come animale da pelliccia; alcuni esemplari fuggiti e inselvatichiti hanno fondato colonie di una certa consistenza numerica); i ghiri (che cominciano a creare qualche danno nei solai delle nostre case e ai pini da pinoli); i criceti, (nelle nostre latitudini presenti solo come animale da affezione); i lemming (abitatori delle foreste di conifere e delle tundre del nord Europa); le arvicole; i topi campagnoli; i topolini domestici e i ratti delle fogne e dei tetti: specie che tratteremo un poco più approfonditamente, per ovvie ragioni.
ARVICOLE
Alla famiglia dei Cricetidi (sottofamiglia Microtini) appartengono le Arvicole, fra cui alcune specie possono causare danni di non poco conto ad alcune colture agrarie, forestali e orticole. Valgano gli esempi dell’arvicola campestre per i meleti del Trentino e l’arvicola del Savi per le carciofaie e altre colture di pregio. Questi roditori hanno costumi ipogei, vale a dire che scavano gallerie piuttosto superficiali e raramente si avventurano a escursioni in superficie, di tale comportamento bisogna tenere conto nell’impostare una corretta lotta. In alcuni casi è risultato utile procedere a pratiche agronomiche (lavorazioni frequenti e superficiali del terreno, impiego di diserbanti e/o geodisinfestazioni) in modo da rendere difficoltoso l’insediarsi di questi animaletti. In altri casi è bastata una distribuzione a spaglio di esche attivate da anticoagulanti a bassa tossicità. Importante in queste circostanze è verificare l’inaccessibilità dei siti trattati a persone, in particolare bambini, e animali non target. Nelle situazioni più difficili si può arrivare a scavare piccole fosse profonde poco più di una spanna ove collocare dei punti esca. Particolare attenzione va posta nel ricoprire i solchi con paglia, pattume o erba.
Il topo selvatico è in grado di adattarsi a numerosi ambienti dal pieno bosco, alle aree coltivate ai magazzini, ove contende l’habitat al più “domestico” topolino. I danni possono assumere rilevante consistenza soprattutto appena dopo la semina; ne consegue che in tale periodo e in presenza di tale infestazione è bene intervenire ponendo nelle aree perimetrali o prossime a strade e reti irrigue, recipienti contenenti esche rodenticide (con p.a. a bassa tossicità).
Le “mangiatoie” dovranno preservare le esche da manipolazioni indesiderate proteggendole altresì dalle intemperie e, naturalmente, impedendone la disponibilità a uccelli e altri animali.
TOPI E RATTI
Alla stessa famiglia dei topi selvatici, Muridae, ma di maggior interesse igienico-sanitario, appartengono i topi (Mus musculus) e i ratti (Rattus norvegicus e Rattus rattus). Hanno corpo snello, coda scagliosa pressoché priva di peli e lunga quasi quanto il corpo o di più per il ratto nero dei tetti.
TOPOLINO DOMESTICO (Mus musculus)
Roditore ormai famoso, tanto da essere chiamato da quasi tutti i disinfestatori con la sua denominazione linneiana, il Mus musculus è un’entità infestante in grado di colonizzare ogni sito, dalla lavatrice di casa (ove l’istinto lo preserva dagli innegabili rischi delle parti mobili: basti pensare al cestello rotante delle biancheria durante la centrifugazione!) alle alte tecnologie dei centri di elaborazione dati computerizzati ove il suo potenziale insediamento è visto come una vera e propria calamità). Più frequentemente lo troviamo nella filiera agroalimentare ove può essere definito un’entità endemica, con manifestazioni epidemiche allarmanti.
Il topolino può arrivare fino a 30 g di peso, però è un buon mangiatore: da tre a cinque grammi al giorno (proporzionalmente un uomo di 70 kg di peso dovrebbe mangiare da 7 a più di 10 kg di cibo al giorno), in compenso beve poco (da 1 a 2 cc al giorno) ma può stare senza acqua per lunghi periodi. Produce 1,2 cc di urina al giorno con 2 grammi di feci disseminate in piccoli “boli” che l’animale depone con una frequenza costante per tutto il periodo della sua attività che in genere è serotina e notturna. A sua giustificazione anche l’alimentazione è diluita in 10-15 spuntini (da duecento a cinquecento milligrammi per ingestione). In effetti quest’ultimo dato non dovrebbe essere messo fra parentesi perché rappresenta una caratteristica di cui tenere ben conto nei programmi di lotta: di fronte a un assaggiatore di questa forza bisogna disporre di armi e tecniche applicative adeguate.
I dati bio-etologici più importanti sono: durata della vita in condizioni di cattività fino a quattro anni, aspettativa di vita (in condizioni naturali) stimata a circa 6 mesi. Maturità sessuale a due mesi e mezzo dalla nascita, gestazione 20 gg. così come lo svezzamento; numero di nidiate in un anno per femmina; 6-10 per una cinquantina di neonati! Le caratteristiche psico-fisiche di questi muridi si possono sintetizzare in una notevole curiosità attenuata dalla paura, giustificata peraltro, con non evidenti fenomeni di neofobia (paura del nuovo). Inoltre, presentano performance eccezionali: riescono a saltare fino a 30 cm, si buttano senza danni da altezze superiori a 2 metri, passano in buchi poco più grandi di un centimetro di diametro e sono in grado di arrampicarsi su ogni superficie: dei funambolici mini atleti. Di queste caratteristiche altamente invasive è necessario tenere conto nelle valutazioni di rat-proofing.
Tecniche applicative
La lotta ai topolini spesso si risolve con la loro vittoria, vuoi perché queste entità infestanti sono dotate, come abbiamo visto, di ottime caratteristiche psico-fisiche, ma anche di una notevole resistenza fisiologica alle sostanze che più comunemente sono utilizzate come rodenticide. Ciò complica notevolmente il realizzare interventi di lotta anche perché in alcuni casi vengono impiegate esche il cui principio attivo è “attivo” nei confronti dei ratti, meno o per nulla contro questi più piccoli roditori. L’impostazione della lotta che (salvo rarissime eccezioni) si svolge in spazi confinati si basa sulla valutazione generale dell’ambiente in cui s’intende operare.
L’area da trattare deve essere divisa in zone infestate, zone a rischio ed è altrettanto importante individuare la pressione d’infestazione ovvero le vie in cui è presumibile supporre l’arrivo dei “colonizzatori” dai denti aguzzi. Una volta monitorata l’area d’intervento, viene identificato il “modus operandi”, che generalmente è costituito nell’intervenire a livello manutentivo-preventivo: sigillare i passaggi, mettere in opera reti e sbarramenti ed eliminare nel contempo aree di rifugio (questa fase può essere preliminare oppure eseguita successivamente al collocamento delle esche). Dopo aver creato le premesse per il posizionamento dei punti esca, è necessario stabilirne il numero e i relativi luoghi. Ogni punto esca così individuato deve essere definito nel tipo di esca (base alimentare e p.a.), quantità di esca e tipo di protezione più idoneo alla bisogna.
In alcuni casi di particolare difficoltà può essere utile effettuare un trattamento di pasturazione (pre-baiting) con l’uso di placebo (esca non attivata con alcun p.a.) o le innovative NARA, esche atossiche per il monitoraggio di topi e ratti disponibili in diverse aromatizzazioni (vaniglia, pesce e carne), e dotate di elevata attrattività nei confronti dei roditori, sono prive di allergeni e realizzate con uno speciale materiale plastico polimerico che non causa quindi infestazioni secondarie che possono invece verificarsi con esche virtuali alimentari; ciò con l’intendimento di valutare l’entità dell’infestazione, le abitudini alimentari e/o indurre abitudine all’esca che si intenderà utilizzare. Una sorta di prova generale, suggestiva nell’enunciazione, sovente citata nella dotta letteratura, ma assai poco adottata nella pratica comune: come tutte le possibilità tecniche può essere efficace nella misura in cui essa è impiegata laddove è realmente necessaria, e un ulteriore caso di applicabilità della pasturazione è quello di assuefare i topolini ad aree di alimentazione poco o nulla interagenti con le attività svolte nei siti di bonifica murina. Una volta collocati i punti esca essi devono essere ripristinati e man mano adattati alle esigenze che si vengono a creare. Terminata la fase di bonifica è spesso utile effettuare un finissaggio manutentivo, posto che se ne ravvisi la necessità, ma è importante la verifica critica di tali trattamenti.
Ciò fatto non resta che pianificare il calendario degli interventi con l’obiettivo di mantenere i risultati ottenuti, via via migliorandoli e consolidare contemporaneamente la prevenzione del rischio di reinfestazione: con interventi antiinvasione, con attenti monitoraggi ispettivi, con la valutazione dei fornitori, e – non trascurabile fatto – con il miglioramento delle nostre conoscenze e competenze nel contesto della troppo spesso trascurata materia della igiene ambientale. Ciò vale anche nel caso l’intervento sia mirato alla valutazione di un servizio appaltato; va ricordato che la Legge sulla sicurezza del lavoro fa riferimento al rischio igienico e alla necessità di eliminare o quanto meno ridurre al minimo i rischi, di qual si voglia natura, all’origine. A livello professionale il tutto deve o dovrebbe essere certificato su moduli che consentano di valutare i risultati lungo tutte le fasi d’intervento e per tutto il periodo di tempo in cui il calendario si concretizza.
IL RATTO NERO DEI TETTI (Rattus rattus)
Questa specie è giunta nei nostri areali dalla lontana Mesopotamia, probabilmente approfittando dei traffici marittimi realizzati con le triremi dell’impero romano. È certamente la causa delle più importanti epidemie di peste nell’epoca medioevale e ancor oggi rappresenta un potenziale vettore di numerose malattie infettive: salmonellosi, afta epizootica, adenovirosi, leptospirosi, listeriosi, rickettosi, arborviriosi, dermatofitosi, leishmaniosi, verminiosi e altre ancora. Più agile del forte ratto delle fogne, in genere colonizza i solai le strutture elevate dei silos e sovente le chiome degli alberi, con una certa predilezione per i pini marittimi e le palme. I maschi della specie possono raggiungere i 300/500 grammi di peso, la lunghezza del corpo può arrivare a 16-21 cm, mentre la coda è più lunga del corpo di almeno un paio di centimetri. Le orecchie sono piuttosto lunghe e in genere riescono, ripiegate, a coprire l’occhio.
La dieta è onnivora, con preferenza alle proteine di origine vegetale, e giornalmente giunge a superare i 20 grammi di sostanza secca e 20 ml di acqua, ma il ratto nero dei tetti può restare senza bere per più giorni. Le feci e le urine sono di poco inferiori alle quantità ingerite.
La durata della vita in cattività può arrivare a sei anni, mentre in natura in genere non riesce a superare l’anno. La maturità sessuale giunge dopo due mesi e mezzo dalla nascita, la gestazione è di tre settimane, lo svezzamento di quattro. Le nidiate per femmina in un anno sono fra le sei e le otto per un numero di nati di 34 soggetti. In questa specie la neofobia è forte soprattutto in popolazioni insediate da un certo tempo e quindi da consuetudini consolidate. Le caratteristiche psicofisiche lo fanno un abile arrampicatore (riesce a salire entro tubature verticali di 10 cm di diametro, al punto che può apparire nella tazza dei bagni e misteriosamente scomparire) un buon saltatore e un discreto nuotatore.
Tecniche applicative
Dovendo cimentarsi nella lotta al Rattus rattus bisogna tener conto della neofobia di questa specie e quindi ogni intervento di bonifica è bene che sia rimandato a eradicazione avvenuta. I trattamenti sono impostati nell’identificazione dei luoghi infestati e delle aree a rischio, nonché delle possibili vie di infestazione. Tali luoghi sono riconoscibili per la presenza di untume (betalanolina), feci, rosicchiature, camminamenti e tane o “nidi”. Localizzata l’infestazione si passa al posizionamento di punti d’esca in numero adeguato e con esca idonea per tipologia alimentare. Anche in questo caso può risultare utile la tecnica della pasturazione con placebo. Il calendario dei trattamenti in genere comporta interventi ispettivi/applicativi con cadenza mensile e attenti interventi antiinvasivi che devono sempre tener conto dell’agilità e delle capacità arrampicatrici di questa specie. Attenzione quindi a tubi, fili, pali, e quant’altro consenta al nostro funambolico ratto di “accedere”, ivi comprese le pareti non perfettamente lisciate. Anche in questo caso è buona norma negli interventi professionali formalizzare i dati relativi ai trattamenti con precise e circostanziate certificazioni.
IL SURMOLOTTO o RATTO DELLE FOGNE (Rattus norvegicus)
In poco più di un secolo, partendo dalle steppe russe, questa specie ha conquistato la quasi totalità del pianeta. Infatti, nella seconda metà del XVIII secolo, probabilmente per un fenomeno tellurico di vasta portata, inizia l’immigrazione che in pochi decenni gli consente di invadere l’Europa e, successivamente con i traffici commerciali giunge nelle Americhe e via di seguito negli altri continenti. Animale vigoroso e aggressivo sottrae spazio al Rattus rattus e fa suoi in breve tempo gli habitat sotterranei, soprattutto se collegati alla rete idrica o fognante.
I maschi possono superare i 600 grammi di peso con dimensioni simili al ratto dei tetti, ma con corporatura più tozza, con coda più corta del corpo e orecchie e occhi più piccoli. In laboratorio giunge a vivere fino a 7 anni, ma in natura l’aspettativa di vita difficilmente arriva a 10-11 mesi. La maturità sessuale giunge fra i due mesi e mezzo e i tre mesi. La gestazione è di poco superiore alle tre settimane e lo svezzamento di quattro. Una femmina in un anno è in grado di produrre una figliolanza di 40 unità in 4-5 nidiate. La dieta solida è onnivora, con una certa preferenza alle proteine animali e arriva al 10% del peso corporeo con un apporto idrico di poco inferiore; urina e feci in proporzione. Le caratteristiche psico-fisiche sensoriali indicano animali con odorato, gusto, tatto-udito molto sviluppati; mentre possono contare su una vista piuttosto ridotta.
Sono animali assai forti, in grado di fare salti in alto di quasi 80 cm e salti in lungo (da fermi) di 10-20 cm superiori al metro e con la rincorsa raddoppiano le performance; capaci di nuotate in superficie e in apnea di tutto rispetto; riescono a scavare lunghe gallerie nel terreno perforando sbarramenti di cemento magro e metalli teneri.
Tecniche applicative
La maggior parte di quanto è stato detto per le precedenti specie vale anche per il surmolotto, o pantegana che dir si voglia, (vedi la neofobia del ratto nero) è bene quindi cercare di lasciare tutto come sta, intervenendo con pratiche di rat-proofing e di manutenzione solo dopo la fase di eradicazione. Per gli interventi di ampio respiro la procedura dovrebbe (se possibili) seguire un andamento centripeto, con barriere sanitarie che impediscano a individui ormai isolati e allarmati di migrare in altri siti, diffondendo micro infestazioni in grado di affrancarsi in breve tempo data l’alta capacità riproduttiva della specie. Particolare attenzione va posta nel proteggere le esche in quanto l’habitat di questi roditori coincide spesso con quello di animali non-target e, in non pochi casi, con quello dell’uomo.
Pianificazione e Calendario dei trattamenti
È buona norma attenersi all’obiettivo di eliminare il problema nel più breve tempo possibile, non è razionale ridurre l’infestazione senza mai arrivare a risolvere il problema in termini quanto più risolutivi. Ciò comporta in genere un intervento massiccio realizzato in due-tre fasi. E qui inizia la fase più delicata e, a nostro avviso, importante: il mantenimento dei risultati. Perché difficoltosa? Soprattutto perché cessata la fase di emergenza si tende a diminuire l’attenzione al problema, e inoltre perché i pochi esemplari rimasti tendono a sfuggire a monitoraggi abituali, richiedendo infatti maggior impegno ispettivo.
Trattamenti complementari
I trattamenti complementari sono fondamentali perché hanno la finalità di rendere difficile la reinfestazione e diventano nelle proiezioni futuribili una sorta di “prevenzione”. I trattamenti antintrusione comportano l’apporre barriere e reti a prova di ratti. È assai importante in questa fase analizzare i sistemi di chiusura (porte con fotocellule o a chiusura automatica) adeguati alle specifiche esigenze, soprattutto nel contesto industriale o presidi ospedalieri. Per il territorio bene sarebbe porre attenzione alla rete fognaria, ai bacini idrici, nonché agli allevamenti agricoli. Questo capitolo ben si collocherebbe in contesto di bonifica del territorio e/o di ingegneria “igienico-sanitaria”.
Modulistica – Rilevamenti planimetrici
Questo aspetto della bonifica murina fa parte della gestione dell’informazione. I dati raccolti in termini cartacei o elettronici consentono di misurare e valutare i risultati, con conseguente ottimazione dei trattamenti futuri. Appare naturale a ognuno di noi che si appresti a giocare una partita a carte di riordinare le carte secondo schemi adeguati al gioco: ad es. tutti i semi di quadri da una parte e ben ordinati dai più bassi a quelli più alti. Le possibilità di vittoria si basano anche sulla facilità di controllare le carte e ciò è agevolato dal fatto di vedercele in sequenza davanti agli occhi: il disordine renderebbe facile l’errore.
NUTRIE
Roditore di grandi dimensioni, con lunghezza della testa e del corpo tra 430 e 635 mm, la lunghezza della coda tra 255 e 425 mm, la lunghezza del piede tra 120 e 150 mm, la lunghezza delle orecchie tra 25 e 30 e un peso tra 5 e 10 kg, talvolta fino a 17 kg. I maschi sono solitamente più grandi delle femmine. È una specie semi-acquatica, notturna e serale, anche se è spesso visibile di giorno, in particolare durante i periodi più freddi.
Vive in acquitrini, rive dei laghi e corsi d’acqua lenti. Sebbene preferisca acqua dolce e fresca, alcune popolazioni delle isole cilene vivono in acque salate o salmastre. Costruisce piattaforme di vegetazione dove si nutre e si cura la pelliccia. Utilizza tane di altri animali come rifugio, oppure scava sistemi di cunicoli che variano da semplici tunnel a complessi di camere e passaggi che si estendono per oltre 15 metri. Traccia anche percorsi nell’erba alta e può allontanarsi fino a 180 metri dai rifugi. La maggior parte del suo tempo lo passa a nuotare o brucare le piante acquatiche. Possono rimanere in immersione anche per più di 10 minuti. In acqua si spinge in avanti con colpi alternati dei piedi posteriori palmati. Vive in coppie o piccoli gruppi basati su diverse femmine imparentate tra loro, ma la presenza di molti individui in condizioni ambientali favorevoli può dare l’impressione di formare grandi colonie. I maschi sono spesso solitari ed erratici.
Si nutre principalmente di parti vegetali, tra le quali preferisce le radici, i tuberi e i rizomi. Nelle regioni dove è stata introdotta si ciba di qualsiasi coltura disponibile. A elevate densità di popolazione riduce drasticamente la presenza di piante acquatiche, causando la formazione di acque aperte. In Italia la sua diffusione ha subito un notevole incremento negli ultimi anni espandendosi nella pianura padana, lungo la costa adriatica dal corso del fiume Brenta in Veneto, nel Rio Ospo, vicino a Muggia nella Venezia-Giulia fino all’Abruzzo e sul versante tirrenico settentrionale e centrale fino al Lazio. Sono parecchio diffuse nella città di Lodi. Presenze localizzate si hanno anche nell’Italia meridionale, nell’alta Campania, in Sicilia e Sardegna.
Quello delle nutrie è un problema molto sentito dagli agricoltori e ortisti italiani. La nutria è stata introdotta in molti paesi d’Europa, fu eradicata con successo negli anni 90 dall’Inghilterra ma resta oggi una questione ancora aperta in Italia, in particolar modo nella pianura padana e nella Toscana. È in queste zone che le nutrie trovano acqua ferma, canali, fiumi e stagni. Le nutrie amano gli acquitrini e si aggirano nei territori di bonifica, è sulle sponde, in mezzo alla vegetazione, che costruiscono le loro tane. Come premesso, la nutria non è un animale autoctono, è originario del Sud America dove vi sono predatori naturali per il suo controllo. In Italia la nutria può moltiplicarsi a dismisura in quanto non vi sono predatori; la femmina raggiunge la maturità sessuale tra i 3 e gli 8 mesi così le nutrie possono riprodursi durante tutto l’anno con picchi tra maggio e novembre. La gestazione dura mediamente 132 giorni e la prole è composta da 1 fino a 9 piccoli. A livello industriale, la nutria è allevata per le sue pellicce, ed è così che è stata introdotta in molti paesi del mondo.
Trattamenti
Chi si sta chiedendo come eliminare le nutrie deve sapere che questi animali sono protetti per legge*. Tutte le cacce con armi da fuoco, trappole con veleni e provvedimenti analoghi, sono illegali e sconsigliati. Certo la nutria fa danni a 360°: danneggia in primis l’ambiente, l’agricoltura e la caccia (gli stessi cacciatori non trovano più uccelli da cacciare!). Attenzione: quando tentate di attaccare o allontanare la nutria, questa se non riesce a scappare passa al contrattacco digrignando i denti, sbattendoli rumorosamente e mordendo. Il morso di nutria può essere pericoloso oltre che doloroso. Qualora la Regione o la Provincia lo conceda il Disinfestatore professionista potrà procedere con la cattura a vivo con l’uso di gabbie.
Mario Alessi
*Dal 21 agosto 2014, le nutrie rientrano nella stessa categoria di topi, ratti, talpe e altre arvicole ndr.