di Chiara Merlini
Il tempo passa velocemente e pochi anni ci separano dalla scadenza del 2030, la data fissata per raggiungere gli obiettivi definiti dall’Agenda 2030, il progetto sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU.
L’Agenda è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 target o traguardi, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale appunto entro il 2030.
Di sostenibilità si parla molto, negli anni si è affinata la sensibilità al tema-problema e certamente passi avanti nella consapevolezza delle responsabilità e della necessità di condivisione di un approccio globale sulle ‘buone pratiche’ ne sono stati fatti.
Ma da qui al 2030 la strada mi sembra ancora molto in salita. In questi ultimi anni abbiamo visto molti eventi critici, dalla pandemia da Sars-CoV-2 agli avvenimenti bellici, che hanno avuto un ampliamento impensabile. Come se non bastasse, si sono aggiunte pesanti emergenze climatiche che hanno devastato diversi paesi. Tutto questo non ha creato facilitato l’impegno globale per raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030.
Abbiamo chiesto ad alcune aziende, nei diversi settori, qualche considerazione sulla reale possibilità di vedere compiuto entro questa data un programma così articolato e impegnativo e come attuano le richieste di una maggiore responsabilità per i diversi obiettivi.
Sul fatto che la sostenibilità sia un tema importante a livello globale e sempre più le aziende nei diversi settori si impegnino a dare il loro contributo è convinto Paolo Taoso, Strategic Marketing Manager di COMAC : “Il raggiungimento dei goal dell’Agenda 2023 ONU è una grande sfida per tutte le aziende, e Comac si sta impegnando per dare il suo contributo”. La collaborazione da parte delle aziende e l’impegno di ognuna a svolgere il proprio ruolo in questo processo di miglioramento è infatti l’unico modo possibile per cercare di raggiungere tutti gli obiettivi prefissati nel minore tempo possibile.
E Comac si sta impegnando per dare il suo contributo. Come? Per esempio, un progetto che sta portando avanti è il calcolo della CFP – Carbon Footprint di Prodotto secondo la normativa ISO 14067. Misurare la Carbon Footprint delle macchine di ultima generazione permette di avere un dato reale e certificato da parte terza sulle performance rispetto al cambiamento climatico. Il metodo di calcolo si basa sulla LCA – Life Cycle Assessment e l’emissione di gas effetto serra viene misurata tenendo in considerazione tutto il ciclo di vita del prodotto: così si possono individuare le fasi più critiche in termini di emissioni di gas serra, e intervenire per cercare di minimizzarle.
Emanuele Del Ministro, Direttore Commerciale di CENTRALCARTA, commenta: “Dal nostro punto di vista di impresa di produzione osserviamo che negli ultimi anni si stanno affermando infatti modelli produttivi più attenti all’ambiente, come le certificazioni per la riforestazione nell’ambito della carta o il riciclo, e si sviluppano prodotti chimici efficaci più rispettosi dell’ambiente nella produzione delle bobine madri che sono il semilavorato alla base di ogni prodotto in carta tissue”. E ricorda che l’attenzione all’ambiente di Centralcarta è testimoniata dalle varie certificazioni ottenute negli ultimi anni (Ecolabel, PEFC e FSC).
Anche Debora Cazzaro, General Manager di INDUPHARMA, conferma l’impegno dell’azienda chimica: “Siamo da sempre molto coinvolti negli adeguamenti indispensabili e utili allo sviluppo di un sistema produttivo moderno e automatizzato, a norma e certificato”.
Un processo che negli ultimi tempi sembra avere avuto un’accelerazione. Ma a due velocità. “Si ha quasi la sensazione che quanto relativo alla sostenibilità sia invece diventata un’urgenza degli ultimi tempi – considera Cazzaro – con una necessità di esecuzione veloce e tempestiva, quando all’industria e agli asset nazionali e europei servono e serviranno invece decenni per trasformarsi, con inevitabili e importanti impatti economici”.
E si apre la finestra sui problemi che si presentano,e le carenze – niente di nuovo – risultano evidenti: “Gap fra normativa e possibilità di attuazione, vincoli non studiati sulle dimensioni di impresa caratteristiche della nostra economia e difficoltà di raccolta di personale con determinate competenze nei comparti pubblici e amministrativi che dovrebbero garantire e supportare il mondo imprenditoriale in questa trasformazione”.
Un’altra voce dal settore chimico: Luca Pattarello, R&D Manager di ITALCHIMICA sui temi ESG, riflette sul contesto globale: “Sono obiettivi ambiziosi il cui raggiungimento è stato indubbiamente rallentato da una serie di avvenimenti come la pandemia, il conflitto in Ucraina e certamente anche la situazione in Medio Oriente inciderà in modo negativo”. Anche se ritiene che questo rappresenti un impegno inderogabile di cui dobbiamo farci carico sia come individui che come organizzazioni.
È importante sostenere lo sviluppo di una produzione green ma allo stesso tempo è anche molto complesso. Per molti motivi. Lo fa rilevare Comac: “I prodotti green però spesso richiedono l’utilizzo di materiali specifici e processi di lavorazione più lunghi e articolati, per questo nella maggior parte dei casi risultano essere più cari rispetto ai prodotti tradizionali”.
E Paolo Taoso continua: “Le macchine per la pulizia devono soddisfare determinati requisiti strutturali, come sopportare una pressione elevata dell’acqua o resistere al contatto con materiali corrosivi e spesso questi non possono essere garantiti se vengono utilizzati materiali riciclati per determinati componenti”. La difficoltà sta anche nella comunicazione, perché “le aziende devono essere capaci di combinare qualità e materiali riciclati e allo stesso tempo trasmettere il messaggio di sostenibilità e riduzione degli sprechi legato a questi prodotti”.
Il punto cruciale è quindi riuscire a trasmettere il messaggio che sta alla base, rendere consapevole chi acquista un prodotto – di qualsiasi tipo – non deve limitarsi al prezzo, ma comprendere a più ampio raggio che il suo acquisto contribuisce a ridurre l’impatto sull’ambiente, proprio perché è sostenuto da prove che è stato costruito nel rispetto delle norme. Il circolo virtuoso deve essere inclusivo, altrimenti rimane un compito svolto a metà e non può produrre i risultati di efficacia ed efficienza richiesti.
Sulla difficoltà di attuare nello specifico la sostenibilità, Eugenio Cagna, CEO di KLINMAK, è piuttosto critico: “Ci si riempie la bocca quando si parla di sostenibilità, ma non si entra mai nello specifico. KlinMak ha iniziato a parlarne nel 2017 al CMS di Berlino e a distanza di 6 anni fa ancora fatica a far passare al mercato (tutti intendo) concetti di totale pertinenza”.
I punti focali che Cagna individua per il settore macchine si riferiscono alla riduzione della potenza assorbita (nel caso di Klinmak una lavasciugapavimenti); riduzione del rumore, dei consumi di acqua e detergente, del volume e del peso. Inoltre, la riduzione degli sprechi a partire dalle batterie tradizionali (che sappiamo non durare oltre 2 anni), la diminuzione della contaminazione dell’aria dopo il lavoro.
Il problema della difficoltà di attuazione degli obiettivi dell’Agenda 2030 per il CEO dell’azienda milanese “è uno solo: non esistono strutture che siano in grado di dare un valore al lavoro svolto. I CAM Macchine sono ancora nebulosi, le strutture come EUnited sono di poco aiuto. Morale: se una azienda vuole far valere la propria “diversità di prodotto” e persegue gli obiettivi di sostenibilità a chi deve rivolgersi?”.
Cagna segnala che Klinmak ha raggiunto l’obiettivo 12.5 Agenda ONU nel 2019: “Ci abbiamo lavorato dal 2015 al 2019 con grande impegno e passione”.
Il mercato risponde al tema green?
Lo scenario internazionale preoccupante: quali sono i più grandi rischi per il settore del cleaning professionale? Si delinea per i prodotti green una maggiore difficoltà di penetrazione nel mercato in confronto a quelli tradizionali?
Del Ministro individua nei costi per le certificazioni e la conseguente riorganizzazione produttiva – significativi per un’azienda di medie dimensioni come Centralcarta – il maggior ostacolo per l’attuazione degli obiettivi ONU.
Anche Italchimica conviene che “realizzare una filiera virtuosa sui temi ESG – Environmental, Social e Governance – si traduce purtroppo ancora oggi in costi più alti e conseguentemente su prodotti con prezzi maggiorati”.
E non è possibile sempre farli ricadere su clienti e utilizzatori “soprattutto in momenti come quello attuale in cui l’inflazione si fa sentire. A questo si aggiunge una diminuita propensione alla spesa determinata da un senso di insicurezza generale dovuto ai conflitti e il gioco, al ribasso, è fatto”.
Per contrastare questa tendenza, Pattarello suggerisce: “Per premiare le aziende virtuose sui temi ambientali, si potrebbe ad esempio inserire criteri di preferenza nelle gare d’appalto pubbliche, che non contemplino quindi solo le etichette ecologiche ma che favoriscano concretamente le aziende che si impegnano sui target della sostenibilità e hanno avviato politiche ESG”.
Quanto alla difficoltà che incontra il prodotto green per ‘esplodere’ nel mercato, Debora Cazzaro, Indupharma, la individua nella percezione che il consumatore ha del prodotto green “dove a livello di detergenza lo identifica molto frequentemente come un prodotto non performante o troppo costoso. Pensiamo che una produzione impostata sulla sicurezza ambientale e del lavoratore abbia tutti i requisiti per essere già definita green, a cui associare scelte di materie prime o imballaggi adeguate. È importante poi che l’azienda si impegni nel trovare soluzioni per la riduzione del dispendio energetico, tramite anche l’istallazione di sistemi fotovoltaici”.
“Non vedo rischi all’innovazione e al progresso. Green come Bio sono marketing ma talvolta dietro c’è qualcosa di buono – sottolinea Eugenio Cagna, Klinmak – La strada è tracciata e va seguita. Mancano, e lo ripeto, le strutture che definisco i PALETTI con assoluta competenza”.
Il mercato premia le aziende virtuose? Si può dire che in genere i mercati si sono sensibilizzati: da qui poi a esserne convinti totalmente quando toccano il portafoglio è un discorso differente, ma certamente hanno fatto molti passi avanti. “Le aziende più coinvolte sono quelle che al loro interno hanno già intrapreso un percorso di certificazione” afferma Paolo Taoso. Diffondere una politica di rispetto e sostenibilità è il primo passo verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’Agenda 2030. Infatti, strutturata in 5 aree di intervento che fondono aspetti economici, di crescita sociale e qualità ambientale, l’agenda sottolinea che le aziende devono adottare un approccio integrato e delle misure concrete per affrontare le numerose sfide proposte
“Le imprese di tutti i mercati sono quindi chiamate a adottare una propria strategia per il raggiungimento degli obiettivi, spesso le richieste che riceviamo più spesso rispetto a temi green e alla sostenibilità arrivano principalmente da enti del settore pubblico e dalle aziende di servizi”.
Del Ministro individua grande sensibilità “soprattutto dai mercati dell’Europa Centrale e del Nord, con richiesta di certificazioni di sostenibilità ambientale (le sopra citate Ecolabel, PEFC e FSC) che ci permettono di soddisfare le esigenze dei nostri clienti e di consolidare la relazione con loro”. Anche secondo Luca Pattarello l’estero si dimostra più sensibile del mercato nazionale: “Penso soprattutto a Francia, Germania, Austria e Grecia dove, secondo la nostra esperienza, è più frequente trovare degli operatori che condividono dei target di sviluppo sostenibile, che attuano delle politiche di acquisto sostenibili e che quindi cercano esclusivamente partner con record consolidati sui temi ESG”. E per Eugenio Cagna “I paesi evoluti sono per definizione più sensibili al tema”.
Quanto ai segmenti di mercato più attenti alla scelta di chi risponde ai requisiti di sostenibilità, Debora Cazzaro lo individua nel mercato HoReCa: “Soprattutto relativamente al comparto alberghiero, dove si è visto un grande cambiamento nella scelta del consumatore finale, che predilige vetro e carta e non troppa plastica”.
“Secondo noi sia il mercato dell’Away-from-Home, sia quello Consumer stanno sempre più richiedendo un’attenzione più forte all’ambiente – considera Del Ministro – che comunque poi ci ricompensa dei costi sostenuti con ordinativi di maggior consistenza e continuità di fornitura”. Ed Eugenio Cagna considera come i settori specifici più attenti siano quelli più legati all’Igiene: Ospedali, case di Cura e Riposo, HoReCa, Wellness, Industria Alimentare e Grande Distribuzione Alimentare.
Ma non è ancora un atteggiamento fortemente consolidato. “Siamo solo agli inizi. Noi produciamo modelli di lavasciuga con Batteria al litio, Filtro Hepa H13, polveri antibatteriche, telaio inox, risparmio acqua e detergente, risparmio acustico ed energetico e posso andare avanti… Ma non abbiamo al nostro cancello una fila di clienti che ‘implorano’ per le macchine. Di tempo ne deve ancora passare… “.
Il tempo. Ma ne abbiamo davvero tanto davanti oppure le situazioni ambientali, di mercato, internazionali possono bruscamente dare un’accelerata su fronti che è difficile padroneggiare?
Non vuole essere una chiusa scoraggiata e scoraggiante, ma solo una piccola riflessione su quanto sia necessario andare avanti sulla strada green, confidando in una generale presa di coscienza. In primis da chi è preposto e ha gli strumenti per fare crescere il Paese.
Dire che competenza e buona volontà sono strumenti indispensabili è un’ovvietà? Mi scuso per la banalità, ma mi sembrano davvero sempre le premesse necessarie.
Ringraziamo per la collaborazione (in ordine alfabetico Aziende):
COMAC Paolo Taoso
CENTRALCARTA Emanuele Del Ministro
INDUPHARMA Debora Cazzaro
ITALCHIMICA Luca Pattarello
KLINMAK Eugenio Cagna