Qualità e professionalità

La cooperativa bresciana Nitor crede nella cultura del pulito come driver di crescita per il settore.

L’imprinting di questa cooperativa è strettamente “industriale“. Nel senso che non c’è spazio per l’improvvisazione, ma la scelta di base è un’impostazione in cui è chiaro e ben definito “chi fa cosa” e “in quanto tempo“: i risultati vengono monitorati, se necessario apportate correzioni e quindi riverificati. Tutto ciò è tanto più significativo in quanto si parla di una cooperativa che si occupa di servizi di pulizia professionale. E ancora di più se i termini in cui si ragiona non sono strettamente quelli di prezzo.

Nata nel 1997 dalla volontà di Enrico Bettera (all’inizio i soci erano due), nel corso degli anni, con impegno e serietà, è cresciuta: ora i soci sono 450. E oltre a Nitor cooperativa di servizi, vi è Nitor cooperativa sociale e Nitor centro elaborazione dati. Un percorso che per l’azienda bresciana, di Travagliato ha significato operare scelte ben precise, impegnarsi nella qualità (ne fanno fede anche le certificazioni, dall’ISO 9001 alla 14001, fino alla 18000). Come testimonianza dell’attenzione all’ambiente e alla sicurezza.
Abbiamo incontrato il presidente, Enrico Bettera, per capire qual è lo “stile” della cooperativa.

Quali sono stati gli step di questo percorso, da diciassette anni a oggi?
Per lavorare bene è necessario essere convinti di ciò che si fa. Sono partito cercando di capire come si strutturasse questo lavoro, cercando di farlo al meglio e, naturalmente, commettendo degli errori. Nel tempo ho cercato di sviluppare il ‘concetto’ di pulizia, che in Italia è ancora affidato alla buona volontà (o meno) di chi lo applica. Non c’è, a differenza di tanti altri Paesi, una regolamentazione e un riconoscimento della formazione, e una regolamentazione degli appalti (anche se formalmente esiste): è ancora un settore ‘invisibile’, professionalmente poco riconosciuto e in cui, nonostante le belle parole, le gare di appalto si giocano al massimo ribasso”.

Si possono fare scelte diverse nel nome della qualità?
Ho impiegato tanto tempo e ho fatto una scelta impegnativa. Credo nel mio lavoro e ne conosco i costi. La qualità ha un costo, l’impegno nelle certificazioni significa che abbiamo voluto fare una scelta nell’ottica del rispetto della qualità, dell’ambiente e della sicurezza dei lavoratori. A questo abbiamo aggiunto un’accurata selezione della clientela. Siamo cresciuti piano piano, con una forte attenzione alla gestione d’impresa: e i clienti si accorgono della differenza che ci contraddistingue dagli altri, si scambiano informazioni, vengono a cercarci. Lavoriamo molto con le multinazionali, proprio per la loro mentalità che troviamo in sintonia con il nostro approccio”.

Non è certo una via facile, soprattutto in questi tempi economicamente molto impegnativi…
Ho sempre vissuto la crisi come un’opportunità di crescita. Come gli insegnamenti più importanti si hanno dagli errori che si commettono (e sono questi che ci portano avanti nel nostro percorso, se vogliamo imparare), così è nei momenti difficili che si è portati a riflettere, a essere ancora più consapevoli delle proprie scelte, a cercare la strada non tanto più facile quanto più rispondente al nostro modo di essere, al modo di portare avanti un’azienda. E proprio al top della crisi, l’anno scorso, ci siamo impegnati nella certificazione che riguarda la sicurezza. Per lavorare meglio e fare lavorare meglio gli altri. Se si pensa che nella sola Brescia città operano 2500 imprese di pulizia…”.

Quali sono i settori in cui lavorate? Qualità significa anche un costo: come si è posto di fronte a questo fatto?
Il nostro core business è rivolto alle industrie: metalmeccaniche, fonderie, là dove si fa pressofusione, verniciatura… Nel settore civile ci occupiamo della pulizia professionale nelle strutture sanitarie. Riguardo alla qualità, ho dovuto fare un’accurata selezione dei clienti. E non nego che questo ha comportato un periodo di crisi. D’altronde, non vedevamo altra direzione: non si può mantenere un servizio efficiente e di qualità ai costi che si vedono proposti nelle gare d’appalto. È anche una questione di serietà: il ribasso totale impedisce, di fatto, un lavoro svolto bene, professionalmente, perché non è materialmente possibile rientrare nei costi proposti. E non abbiamo mai abbandonato questa linea”.

Le imprese di servizi hanno un turnover molto alto: è possibile ovviare a questo problema?
Sappiamo bene che nel settore è un tema scottante, anche perché per proporre la qualità è essenziale la formazione, e investire nella formazione del personale, che poi spesso lascia l’impiego, può sembrare una perdita. Ma è sempre necessario farlo. Si può limitare il problema impegnandosi a creare un ambiente di lavoro sereno, risolvendo i problemi appena si pongono, con una costante attenzione alla gestione globale. In ambito di formazione, ci rivolgiamo a persone che sono estremamente preparate e che ci aiutano a ‘creare’ personale qualificato, in grado di gestirsi senza sprechi di tempo e di lavori inutili perché effettuati senza un metodo preciso. A questo serve la formazione: imparare a lavorare meglio, con risultati migliori e riducendo la fatica e il tempo. A questo proposito, in particolare, faccio riferimento a Giovanna Barberis, che ci affianca con alta professionalità”.

Qual è la sua visione del mondo del cleaning?
Voler affrontare i problemi reali, non i pseudo problemi legati, per esempio, al costo dei prodotti: si sa benissimo quanto poca sia l’incidenza di un prodotto a confronto con quello che è il costo della manodopera. Quindi è sempre importante cercare soluzioni che permettano di lavorare meglio e con più efficienza: è lì che si deve agire. Inoltre, è sempre necessario avere la curiosità di cercare il nuovo, di migliorarsi. Ma per questo è necessario che un’azienda produca utili che possano essere reinvestiti: e come è possibile se pur di prendere un appalto, si gioca al massimo ribasso? Noi abbiamo fatto altre scelte, durate anni, che ora pagano: quest’anno chiudiamo con +20% di fatturato, rispetto l’anno scorso, in cui tuttavia avevamo chiuso con +8%. A dimostrazione che la strada che stiamo percorrendo è giusta”.

Alla voce di Enrico Bettera si aggiunge quella di Sandro Dalmaschio, direttore generale, che è impegnato a seguire tutte le funzioni aziendali, per fare funzionare la macchina Nitor. “L’uomo dei grafici”, come viene denominato, per la sua rigorosa impostazione di tutto il lavoro, che si traduce in una sintesi chiara e aggiornata di ciò che si svolge in azienda, mettendo in evidenza le anomalie e quindi trovando i modi per risolverle e farle rientrare. “Tutto questo cercando la soluzione del problema, non qualcuno da colpevolizzare. Vogliamo, anzi, che vengano segnalate le cose che non funzionano per migliorare la qualità del servizio che offriamo. E questo può accadere solo in un ambiente in cui si sia fiducia e rispetto reciproco. Identificazione con l’azienda in cui si lavora e continua voglia di migliorare. Questo coinvolge il personale, compreso il reparto commerciale, che agisce liberamente, ma è tenuto a fornire i report sulla sua attività”. Un impegno che si svolge ad ampio raggio, sui corsi di formazione, sul cantiere, sul monitoraggio delle diverse operatività, con report scitti (non verbali!) per sapere sempre a che punto si è. Una pianificazione accurata, anche dal punto di vista finanziario. E là dove non si arriva ci si rivolge agli esperti nei diversi campi.

Quali linee segue il programma di miglioramento qualitativo?
Facciamo riferimento al diagramma a lisca di pesce di Ishikawa, che comporta l’attenzione al personale, alle macchine, alle procedure, alla programmazione delle politiche aziendali. È molto utilizzato nelle industrie metalmeccaniche e noi lo applichiamo al nostro lavoro. E funziona. Per la gestione di tutte le attività ci avvaliamo di un unico software”.

Ma Nitor non è solo cooperativa di produzione lavoro, anche se questa è la sua centralità. Un punto su cui soffermarci è anche Nitor cooperativa sociale, che impegna 30 persone, volontari, che operano per l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (ex tossici, ex carcerati, persone con handicap…) dando un aiuto alle aziende che chiedono personale in grado di svolgere lavori, ma che direttamente non sono in grado di assumersi totalmente gli oneri. Vengono quindi assunti da Nitor e indirizzati ai vari lavori. “È importante soprattutto per il forte legame che si stabilisce sul territorio”, afferma Dalmaschio. Ed è anche un forte segnale delle diverse direzioni in cui l’azienda bresciana è attiva e partecipe. Un bell’esempio in questi tempi difficili.

di Chiara Merlini



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