Ospedali e zanzare

Il “microcosmo” rappresentato da una struttura sanitaria non può trascurare anche l’aspetto della difesa da questi fastidiosi artropodi. Per garantire, in ogni aspetto, la salute.

di Athene Noctua

Per entrare in argomento con un minimo di cognizione di causa, ho cercato di capire cos’è un ospedale. Non dal punto di vista di un medico, ma con gli occhi di una “naturalista curiosa“. Così ho scoperto che in Italia vi sono più 1.000 ospedali e che ogni presidio possiede, mediamente, più “abitanti” di qualche migliaio di comuni italiani. Infatti, l’ordine di grandezza di un ospedale sfiora, fra degenti e personale, le 1.500 unità senza contare i parenti, i visitatori e chi all’ospedale si reca per un prelievo o per una visita specialistica; e i comuni sotto i 2.000 abitanti sono davvero tanti. Non ci si deve meravigliare che in una struttura ospedaliera convergano molti problemi ambientali fra cui le zanzare, che però sono a tutti gli effetti insetti con una valenza sanitaria sempre più importante. Ciò detto mi rendo conto che i numeri esposti possono trarre in inganno perché in un anno le presenze in un ospedale medio sfiorano e forse superano le 200.000 unità (senza contare le decine di migliaia di cittadini del mondo che si affidano alle cure del pronto soccorso). In effetti, anche nelle degenze vi sono ricoverati provenienti dalle più disparate nazioni, ma al pronto soccorso l’eterogeneità assume la valenza dell’urgenza, nonostante i codici bianchi rappresentino una percentuale non trascurabile. Una riprova oggettiva è la carica batterica “totale” sospesa nell’aria misurata nelle varie ore della giornata, che si impenna negli orari di visita. Certo, gli esperti di microbiologia clinica avrebbero parecchio da obiettare nella valutazione dei dati numerici della carica batterica “totale” che pur tuttavia è un dato da non sottovalutare.

Mi soffermo un attimo su cosa si intende per carica batterica totale aero-diffusa perché è possibile fare un parallelismo con le nostre siringhe volanti. In termini semplici intendo il numero di colonie microbiche che si formano su un terreno di cultura adeguato alle necessità alimentari sia dei batteri sia delle muffe in cui è fatto passare un volume noto di aria (metodo attivo) oppure lasciando le nostre piastre Petri contenenti della gelatina sterile ricca di nutrienti esposta all’aria confidando che, per gravità, vi cadano batteri e spore (metodo passivo). In entrambi i casi le piastre saranno poste in un termostato a una temperatura predefinita e dopo 48-72 ore si conteranno le colonie sviluppatesi. Quanto esposto è un metodo assai poco preciso perché i risultati variano al variare della temperatura di incubazione, al tipo di terreno colturale e alla sua acidità o basicità. Pur tuttavia rende abbastanza bene l’idea che l’aria può essere considerata un aerosol microbico.

Niente paura: la stragrande maggioranza dei microbi ci sono amici, ma quando sono troppi anche certi “amici” possono essere dannosi. È qui che possiamo fare la nostra analogia con le zanzare perché più sono e più aumenta la probabilità statistica che le loro punture diventino problematiche. Soprattutto se i “donatori di sangue” sono eterogenei e debilitati (mi richiamo all’ambiente ospedaliero). Detto questo parliamo di un rapporto pericolo-rischio statisticamente non allarmante, ma come ho anticipato meglio non trascurarlo.

Con questa premessa voglio sottolineare che a volte si approccia un problema senza tenere nel debito conto la sua dimensione, per cui psicologicamente lo si sottostima. In effetti di fronte alle situazioni che una struttura ospedaliera quotidianamente deve affrontare la disinfestazione diventa “il due di briscola” ma è pur sempre utile, per non dire indispensabile.

Le zanzare in campo

Nel caso in questione il tutto è partito da due notizie che inizialmente non sembravano avere nulla a che fare con lo specifico argomento, che era ottemperare all’obbligo di effettuare una lotta larvicida in tutto il presidio ospedaliero.

La prima notizia nasceva dalla domanda: “Ma non è che la zanzara giapponese è arrivata anche da noi?”, e la seconda invece riguardava il progetto Lexem.

Due parole sulla zanzara giapponese (Aedes japonicus), specie riscontrata se ben ricordo nel 2015 dal Dott. Bernhard Seidel durante un suo stage in Carnia. La determinazione è stata confermata a livello biomolecolare (tanto per ribadire che l’identificazione delle zanzare non è cosa semplice) dal laboratorio di parassitologia dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie. La conferma di focolai di infestazione è stata riscontrata nel comune di Pontebbia (UD) dai tecnici di Entostudio. Sempre per restare in tema di biodiversità “zanzarifera” riporto che nel triveneto si è insediata già da alcuni anni la zanzara coreana (Aedes koreicus). Queste invasioni di zanzare aliene sono decisamente preoccupanti e speriamo che non si diffondano con la perniciosità della “tigre“.

Per il progetto Lexem, invece, si esce dall’entomologia per entrare nel grande progetto delle specie aliene invasive fra cui le zanzare di cui sopra. Questa meritoria iniziativa si inserisce “casa per casa, per non dire porta a porta, fornendo ai cittadini consigli, indicazioni e un larvicida per effettuare un trattamento privato contro le zanzare”.

Da questi due macrosistemi (cioè ricerca entomologica e integrazione pubblico-privato) dovrebbe nascere un protocollo operativo da applicare nell’ospedale oggetto di studio.

I presupposti entomologici sono la comprovata presenza della zanzara comune e della tigre, con la sospetta presenza dell’Aedes caspius in quanto segnalata nel circostante territorio cittadino. Nelle conclusioni riporterò alcune considerazioni su possibili collaborazioni migliorative.

Le procedure di monitoraggio e controllo si basano sull’utilizzo di quattro ovi-trappole di un modello particolare che impedisce lo sfarfallamento degli adulti nel caso si ritardi la raccolta delle forme giovanili (uova-larve-pupe). Più l’utilizzo di una trappola elettro-luminosa ad aspirazione (in commercio ne esistono di più adatte, ma questa era la disponibilità delle forze in campo).

Per i trattamenti larvicidi si è optato per un formulato “biologico” a base di Bacillus thuringiensis var. israeliensis distribuito con una pompa a spalla in tutti i tombini, caditoie, bocche di lupo (in tutto 34 punti). Nell’applicazione si è deciso di irrorare anche le aree con sospetti ristagni d’acqua a giudizio dell’operatore (sicuramente quattro sottovasi, tutte le grondaie accessibili e una vasca in disuso dove un tempo vi erano dei pesci rossi). Le irrorazioni iniziavano alle 6 (orario con il minimo di presenze di personale) e in alcune occasioni, per ragioni organizzative, si è operato dopo le 20. Venivano anche esaminate tutte le finestre verificandone la tenuta o ripristinandola (se possibile) o segnalando la cosa alla direzione sanitaria che si faceva carico di attivare i servizi tecnici.

Controlli e risultati

Le catture con le ovi-trappole sono rimaste costanti nel tempo senza picchi significativi, il che potrebbe significare che i trattamenti abbiano ottenuto un discreto risultato. A onore del vero va detto che qualche lamentela c’è stata, ma è altrettanto vero che il lavoro è stato eseguito capillarmente. Le catture della trappola elettro luminosa sono state abbondanti per quanto riguarda lepidotteri nottuidi, moscerini, mosche e qualche moscone, ma le zanzare catturate si potevano contare sulla punta delle dita (tutte del genere Culex).

Conclusioni (provvisorie)

Il lavoro riguarda il 2017 e si ripeterà anche per la stagione in corso (senza l’utilizzo della trappola elettro-luminosa). Si è deciso di utilizzare anche un formulato che oltre al Bacillus thuringiensis var. israeliensis contenga anche il Bacillus sphaericus, in particolare per i sottovasi e la vasca che potrebbe essere ripristinata. Inoltre, per il prossimo anno (2019) si pensa a una convenzione, tutta da studiare, per una valutazione entomologica delle larve catturate.

Resta vero che le migliorie del servizio nascono dall’essere partiti dal fatto che l’ospedale è una realtà complessa e che la lotta ai parassiti (zanzare in prima fila) deve essere affrontata con l’attenzione che merita e deve coesistere integrandosi con la missione della struttura che è la salute. Per cui mi permetto di dire che potrebbero essere inseriti a pieno titolo nel progetto Lexem o addirittura vararne uno in parallelo.



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