ICA, tema ancora dolente per la sanità

A cura di Lucia Corradini

Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) continuano a tenere la scena nel panorama della sanità. I dati enunciati dagli osservatori epidemiologici dei vari paesi confermano ancora una volta il loro peso, oltre che naturalmente a livello di salute, anche sul fronte socioeconomico.

In Europa si hanno 16 milioni di giornate di degenza in più a causa delle ICA e i decessi direttamente imputabili sono 37.000, mentre per 110.000 morti le infezioni sono una causa concomitante (e pare che le cifre siano sottostimate). Il calcolo effettuato seguendo il protocollo dell’ECDC, European Centre for Disease Prevention and Control, a causa delle ICA, ogni 100 pazienti 6,3 si ammalano, mentre nell’assistenza domiciliare il rapporto è di 1 su 100.

Si comprende quindi facilmente come queste infezioni rappresentino una gravissima minaccia per la salute pubblica, nel nostro Paese e nel mondo, ma anche un grande fardello per l’economia, perché i 16 milioni di giornate di degenza in più hanno un costo stimato intorno ai 7 miliardi di euro, che vengono così sottratti ad altri possibili impieghi (e sappiamo quanto il settore sanitario abbia bisogno di fondi!).

Di cosa si tratta? Queste infezioni sono patologie acquisite, un fattore di complicazione che correla la sua causa all’assistenza sanitaria. Per la sua natura, l’ospedale (chiamiamo così, per semplificare, ogni struttura sanitaria, pubblica o privata) è il luogo dove si prestano le cure a chi ne ha bisogno e lo rimanda nel mondo esterno in buona salute e pronto ad affrontare tutti gli altri problemi che lo aspettano.
Non è sempre così: in ogni luogo di assistenza può presentarsi questa complicazione, dal day-hospital alle strutture di lungodegenza, ma anche negli ambulatori, nelle RSA, nell’assistenza a domicilio… Facciamo una distinzione tra quelle che provengono dall’esterno – esogene – che sono trasmesse da persona a persona, tra operatori e ambiente e quelle invece endogene, cioè le infezioni dovute a batteri interni al corpo.

La fonte delle infezioni

Le cause possono essere molteplici e si possono individuare, come dispositivi medici invasivi, interventi chirurgici lunghi e complicati che permettono possibilità terapeutiche (ed esiti) migliori possono però aprire le porte a microrganismi là dove non erano previsti. Se poi il sistema immunitario, il meccanismo di difesa messo in atto dall’organismo per contrastare le aggressioni esterne, non è efficiente o vi sono altre patologie già presenti il carico aggressivo aumenta.
Un’altra causa a cui si fanno risalire le ICA è la scarsa igiene dell’ambiente: un fattore che crea un ambiente adatto alla proliferazione di batteri, che sono sempre più in grado di moltiplicarsi, trovare le porte d’ingresso più facili. La prevenzione – e questo è un punto estremamente importante in un ambiente sensibile come quello sanitario – deve avere un’attenzione continua ed essere un impegno costante

Diverso il discorso per l’argomento della resistenza agli antibiotici: i batteri si sono abituati a questi farmaci, una volta considerati ‘miracolosi’ (lo sono stati davvero e lo sono ancora) ma se il loro uso – e abuso – è scorretto il risultato è la loro progressiva inefficacia. Con conseguenze che possono essere drammatiche.

I numeri

Il primo rapporto dell’OMS, l’Organizzazione mondiale della Sanità, evidenzia le conseguenze delle ICA: la degenza si prolunga, a lungo termine si ha disabilità, aumenta la resistenza agli antibiotici, economicamente cresce il carico economico per la famiglia e il sistema sanitario.

Ogni anno, in Europa si hanno 16 milioni di giornate di degenza in più; 37.000 decessi per queste cause e per 110.000 decessi le infezioni sono una causa concomitante. E i costi? Calcolando solo quelli diretti, si stimano intorno ai 7 milioni di euro. Numeri importanti, appunto.
Sempre a proposito di numeri, qual è la frequenza delle infezioni contratte durante la degenza? Calcolate con il protocollo dell’ECDC, European Centre for Disease Prevention and Control, ogni 100 pazienti 6,3 – le statistiche si divertono con il paradosso dei decimali – si ammalano, mentre nell’assistenza domiciliare su 100 se ne ammala 1 per le ICA.

Terreno fertile per le ICA è il tratto urinario (le infezioni urinarie sono il 35-40% di tutte le ICA), l’apparato respiratorio, le ferite chirurgiche, le infezioni sistemiche – quelle che interessano l’intero corpo, non sono solamente locali (sepsi, batteriemie).

Nel tempo sono cambiati i microrganismi resistenti: fino agli anni 80 si trattava soprattutto di batteri gram negativi, come l’Escherichia coli e la Klebsiella pneumoniae, in seguito, anche per l’aumentato uso di antibiotici e dell’uso maggiore di presidi sanitari in materiale plastico, sono aumentate le infezioni da gram positivi, soprattutto Enterococchi e Stafiloccoccus epidermitis (che è in grado di contaminare dispositivi medici) e quelle da miceti (soprattutto Candida).
A questi si aggiungono anche alcuni gram negativi come gli enterobatteri produttori carbapenemasi (CPE) e Acinetobacter spp., responsabili di gravi infezioni.

Come si trasmettono le infezioni? 
Anche per le ICA, come per le altre infezioni, la trasmissione può avvenire per contatto diretto, soprattutto attraverso le mani, per via aerea o indirettamente per il contatto con oggetti contaminati. Vale sempre – ed è molto importante – il discorso sulla prevenzione, di cui un punto chiave è rappresentato dal corretto lavaggio delle mani (in tempi di Covid-19 abbiamo ben compreso l’importanza!).

Altre precauzioni da prendere sono:

– ridurre le procedure (diagnostiche e terapeutiche) che non sono necessarie; – utilizzare nel modo giusto gli antibiotici e i disinfettanti; – sterilizzare i presidi; – nelle procedure invasive accertarsi dell’asepsi (cioè della sterilizzazione degli strumenti e dei materiali di medicazione); – controllare il rischio ambientale.
Inoltre, per la protezione dei pazienti si deve usare correttamente la profilassi antibiotica ed eventuali vaccinazioni, controllare che gli operatori sanitari siano vaccinati e mettere in atto un sistema di sorveglianza delle infezioni.

La resistenza agli antibiotici

Dal 2001 l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) coordina il sistema di sorveglianza dell’antibiotico resistenza AR-ISS, costituito da una rete di laboratori ospedalieri di microbiologia clinica, con l’obiettivo di descrivere la frequenza e l’andamento dell’antibiotico-resistenza in un gruppo di patogeni isolati da infezioni invasive (batteriemie e meningiti), che rappresentano sia infezioni acquisite in ambito comunitario sia associate all’assistenza sanitaria.
Sono rilevate le sensibilità agli antibiotici dei ceppi appartenenti a 8 specie: Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa e Acinetobacter  spp.

Da marzo 2022 è disponibile un nuovo protocollo che descrive gli obiettivi, i metodi e le modalità di rilevazione dei dati della sorveglianza AR- ISS coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità. Il nuovo protocollo segue le indicazioni e le esigenze del Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (PNCAR) e ricalca quelle proposte dalla sorveglianza europea (EARS-Net).

Sono state aggiornate le fonti bibliografiche e alcune informazioni di contesto;  il controllo di qualità esterno è organizzato e distribuito dalla Technical University of Denmark (in collaborazione con il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie); è stata aggiornata la lista dei requisiti minimi che i laboratori diagnostici devono possedere, sono stati aggiunti nuovi antibiotici da saggiare per le diverse specie batteriche (cefepime e fosfomicina (i.v) per Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae e ceftarolina  per Staphylococcus aureus.

Infine, è stata aggiunta la variabile ‘data di ricovero’ nel tracciato record da inserire se è disponibile.Nel 2018, in 29 Paesi UE/ SEE, nell’uomo sono state utilizzate 4.264 tonnellate di antibiotici e 6.358 negli animali da produzione alimentare. Nonostante questi numeri, il consumo globale di antibiotici nell’uomo è diminuito dal 2011 al 2020. È il primo dato che emerge dal documento “Antimicrobial Resistance in the EU/EEA – A One Health response” pubblicato il 7 marzo 2022 dall’ECDC.

Per saperne di più

www.ecdc.eu

www.epicentro.iss.it

www.who.int

www.simpios.eu

 

 

 



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