Greenwashing: la normativa

di Chiara Merlini

Avere norme chiare e aggiornate, in tema di sostenibilità, si è rivelato da tempo una primaria necessità: data l’importanza del tema, che coinvolge tutti i Paesi, la sua regolamentazione è un punto di riferimento obbligatorio. Ogni Paese ha le sue norme, ma per l’Italia, come per le nazioni dell’Unione Europea, le direttive che vengono da Bruxelles devono essere rispettate, pena sanzioni e multe.

Nel marzo 2023 la Commissione europea ha proposto nuovi criteri comuni per contrastare il greenwashing e le asserzioni ambientali ingannevoli, poi approvati dal Parlamento a maggio. Gli sforzi della Commissione nascono dall’esigenza di arginare il fenomeno del greenwashing e di invertire i risultati di uno studio della Commissione del 2020 che aveva rilevato che il 53,3% delle asserzioni ambientali esaminate nell’UE erano vaghe, fuorvianti o infondate e che il 40% era del tutto infondato.

La proposta più recente della Commissione integra quella di marzo 2022 sulla “responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde” stabilendo norme più specifiche in materia di asserzioni ambientali, oltre a un divieto generale di pubblicità ingannevole.

Qualche mese prima la Commissione aveva chiesto alle autorità di vigilanza europee (ESA, European Supervisory Authorities: EBA, European Banking Authority – ESMA, European Securities and Markets AuthoritEIOPA, European Insurance and Occupational Pensions Authority) un contributo su diversi aspetti legati al greenwashing e ai rischi correlati, sulle azioni di vigilanza e sulle sfide affrontate per fronteggiare tali rischi.

Le ESA avevano lanciato una Call for Evidence per chiarire il quadro, alla quale a gennaio aveva risposto l’EFAMA, European Financial Reporting Advisory Group .

Nel documento, il gruppo consultivo chiedeva di considerare il concetto di greenwashing in senso non troppo ampio e generico, individuando e comprendendo i suoi attributi fondamentali per affrontare le pratiche ingannevoli e quindi rafforzare l’integrità e l’efficacia dei mercati dei capitali dell’UE.

In particolare, secondo l’EFAMA, il greenwashing viene valutato sulla presenza di questi criteri:

– Travisare consapevolmente le pratiche o le caratteristiche di sostenibilità di un prodotto con l’obiettivo o l’intenzione di fuorviare o indurre in errore il destinatario della dichiarazione di sostenibilità

– Se non c’è l’intenzione di fuorviare o indurre in errore il destinatario dell’affermazione di sostenibilità, si può comunque parlare di greenwashing in caso di grave negligenza da parte degli operatori del mercato finanziario che fanno l’affermazione

 La fiducia, punto importante

Uno dei rischi, forse il più importante, anche perché oggi la diffusione di notizie, vere o false che siano, ha un impatto inimmaginabile fino a qualche anno fa, è la mancanza di fiducia che deriva dall’azione di greenwashing**. Ci sono sassolini che sembrano di poco conto, ma via via, lungo una discesa, acquistano velocità e il loro impatto ha un effetto deformato e potenzialmente devastante. La reputazione è uno di questi: se viene messa in dubbio, con prove concrete – concetto da ribadire sempre, oggi – il danno può essere anche superiore al beneficio che l’azienda sperava di ottenere.

Ma non solo. Perché un’azienda dovrebbe sentirsi in obbligo di seguire i percorsi ‘virtuosi’ per perseguire obiettivi green se la risposta del mercato a una comunicazione ‘ingannevole’ dà gli stessi risultati? E, ancora: per quanto riguarda nel settore finanziario, è particolarmente importante identificare le aziende che realmente hanno la sostenibilità all’interno dell’Azienda, soprattutto per gli investitori ESG.

Dietro l’acronimo ESG, sempre più conosciuto anche fuori dal mondo della finanza e della sostenibilità ci sono tre termini molto chiari: Environmental, Social, e Governance, tre dimensioni fondamentali per verificare, misurare, controllare e sostenere (con acquisto di prodotti o con scelte di investimento) l’impegno in termini di sostenibilità di una impresa o di una organizzazione. Il rischio, altrimenti, è quello di finanziare progetti e imprese che non apportano alcun beneficio per l’ambiente e le persone. Anche se lo affermano, come nel caso del greenwashing di cui stiamo parlando.

Per evitarlo, secondo la UE, un sempre maggior numero di aziende sarà tenuto a dare il proprio resoconto delle attività sostenibili e dei reali risultati raggiunti attraverso la dichiarazione non finanziaria delle imprese, come ribadito con la direttiva EU NFDR (Non Finance Reporting Directive), mentre i fondi comuni di investimento dovranno precisare il grado di allineamento dei propri asset alla Tassonomia, come stabilito dalla SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulatione).

Un prezioso strumento normativo è la Tassonomia UE, cioè il sistema di classificazione stabilito dall’Unione Europea che determina se un’attività economica può essere considerata ‘sostenibile’ o ‘verde’. Adottata dal Parlamento nel 2020 per definire nell’ambito dei mercati finanziari, “l’attività economica sostenibile dal punto di vista ambientale” è un importante strumento normativo. Sempre più aziende dovrà fornire il resoconto delle attività sostenibili e dei reali risultati raggiunti attraverso la dichiarazione non finanziaria delle imprese, come ribadito con la direttiva EU NFDR (Non Finance Reporting Directive)mentre i fondi comuni di investimento dovranno precisare il grado di allineamento dei propri asset alla Tassonomia, come stabilito dalla SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulatione).

Ma tutto questo non è sufficiente, è fondamentale che i sistemi di standardizzazione siano chiari e resi obbligatori il più possibile. E prima di comprare un prodotto o uno strumento di investimento proprio per le caratteristiche green bisogna informarsi accuratamente.

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Cosa prevede la Direttiva Greenwashing UE

La direttiva proposta fa parte del primo pacchetto sull’economia circolare, insieme al regolamento sulla progettazione ecocompatibile, al regolamento sui prodotti da costruzione, e a una relazione d’iniziativa sulla strategia dell’UE per prodotti tessili sostenibili e circolari. Apre la strada a una nuova direttiva sulle dichiarazioni ecologiche che specificherà ulteriormente le condizioni per la presentazione delle dichiarazioni ambientali in futuro.

Il Parlamento ha approvato norme volte a vietare l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente”, “naturale”, “biodegradabile”, “neutrale dal punto di vista climatico” o “ecologico” se non sono accompagnate da prove dettagliate

Al bando anche le dichiarazioni ambientali basate esclusivamente su sistemi di compensazione delle emissioni di carbonio e altre pratiche ingannevoli come fare dichiarazioni sull’intero prodotto se la dichiarazione è vera solo per una parte di esso, o affermare che un prodotto durerà un certo periodo di tempo o potrà essere utilizzato con un determinato livello di intensità se ciò non è vero.

L’UE vorrebbe dunque autorizzare solo etichette di sostenibilità basate su sistemi di certificazione ufficiali o stabiliti da autorità pubbliche.

Durata dei prodotti: le nuove indicazioni

Per aumentare la durata dei prodotti, il Parlamento vuole vietare l’introduzione di caratteristiche di progettazione che limitino la durata di un prodotto o che ne causino il malfunzionamento prematuro. Inoltre, i produttori non dovrebbero essere autorizzati a limitare le funzionalità di un prodotto quando questo viene utilizzato con materiali di consumo, parti di ricambio o accessori (ad esempio caricabatterie o cartucce d’inchiostro) prodotti da altre aziende.

Per aiutare le persone a scegliere prodotti più duraturi e riparabili, gli acquirenti dovrebbero essere informati di eventuali limiti alla riparazione prima dell’acquisto. I deputati propongono inoltre un nuovo marchio di garanzia che indichi non solo la durata della copertura richiesta per legge, ma anche la durata di eventuali estensioni della garanzia offerte dai produttori. Ciò per mettere in evidenza i prodotti di qualità e motivare le aziende a concentrarsi di più sulla durabilità.

No alle etichette fuorvianti e all’obsolescenza programmata

La nuova legge, che dovrebbe entrare in vigore nel 2026, prevederà un divieto generale contro le pratiche commerciali sleali, per proteggere i consumatori da errate affermazioni di sostenibilità e aiutarli a fare scelte di acquisto migliori. Dopo l’approvazione degli emendamenti da parte dell’Europarlamento, lo scorso maggio, i negoziati sono andati a buon fine, ma per diventare legge l’accordo dovrà ora ottenere l’ok definitivo sia del Parlamento sia del Consiglio. Il voto degli eurodeputati dovrebbe svolgersi ora, a novembre.E, quando la direttiva entrerà in vigore, gli Stati membri avranno 24 mesi per recepire le nuove norme nella loro legislazione. L’obiettivo è avere pratiche commerciali più oneste e consumatori europei più informati. Ecco, quindi, cosa sarà vietato:

– Parole come “climaticamente neutro”, “naturale”, “eco o ecologico”, “biodegradabile”, a meno che le aziende non riescano a dimostrare che il prodotto abbia prestazioni ambientali eccellenti.

– Le comunicazioni commerciali relative a un bene con una caratteristica che ne limita la durabilità se sono disponibili informazioni su tale caratteristica e sui suoi effetti sulla durabilità;-le affermazioni basate sulla compensazione delle emissioni, spesso utilizzate per affermare che i prodotti sono a zero emissioni di carbonio o hanno un impatto ambientale ridotto. In alcuni casi non sono collegate a sforzi concreti per combattere la crisi climatica. Si affidano invece a pratiche errate di contabilità di carbonio. “L’incredibile atto di scomparsa delle emissioni è il sogno di molte aziende, ma le emissioni non scompaiono magicamente” ha commentato Elisa Martellucci, Programme Manager Energia e Clima a ECOS (Environmental Coalition on Standars);

– Le etichette verdi che non provengono da certificazioni approvate o da schemi di sostenibilità stabiliti dalle autorità pubbliche;

– Dichiarazioni di durabilità – in termini di tempo o intensità di utilizzo in condizioni normali – se non provate;

– Sollecitare il consumatore a sostituire i materiali di consumo prima del necessario, come per esempio le cartucce di inchiostro della stampante;

– Presentare gli aggiornamenti software come elementi indispensabili, anche se migliorano solo le funzionalità;

– Proporre la merce come riparabile quando non lo è.

La direttiva proposta fa parte del primo pacchetto sull’economia circolare e apre la strada a una nuova direttiva sulle dichiarazioni ecologiche che specificherà le condizioni per la presentazione delle dichiarazioni ambientali in futuro.

Per saperne di più:

https://esgnews.it

https://planet-tracker.org

www.insic.it

www.rinnovabili.it/

www.europarl.europa.eu

www.start2impact.it

https://economiacircolare.com

www.repubblica.it

www.covip.it

 

**Tralasciando la facilità di creazione di fake news generali create con l’AI immettendo parole chiave non corrette: la cascata diffusiva potrebbe essere devastante (non è un parto della mia fantasia, per quanto notevole, ma se vi interessa cercate le informazioni da fonti accertate…).

 

 



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