L’economia circolare non esiste ancora ed è un’ottima prospettiva, ma va costruita partendo dalle eccellenti prestazioni del riciclo garantite dalle realtà del settore, creando le condizioni favorevoli per lo sviluppo di nuove attività specifiche (tra cui le normative che rendano possibile la trasformazione di rifiuto in risorsa, end of waste) e realizzando un profondo cambiamento di modello economico. Questa la ricetta secondo Andrea Fluttero, presidente di Unicircular, l’associazione che rappresenta “le fabbriche dell’economia circolare”.
Ogni anello della catena dovrà ripensarsi in chiave di circolarità, dai produttori – con un’accurata ecoprogettazione – alla distribuzione, ai consumatori, per finire con “l’anello mancante” e da costruire del post consumo, composto da logistica di ritorno, raccolta, preparazione al riuso, riuso, riciclo, sviluppo del mercato dell’usato e delle materie secondarie.
Senza una semplice norma che ripristini tale possibilità in capo alle regioni si sta rischiando il fermo delle imprese che riciclano rifiuti, tra i quali le macerie degli edifici, gli pneumatici a fine vita o i rifiuti tecnologici (RAEE).
Per realizzare la transizione verso l’economia circolare, come previsto dal pacchetto di direttive europee, è necessario dotare il paese di un adeguato sistema di impianti per il riuso e per il riciclo dei rifiuti, ma anche per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili.
Così Unicircular interviene sulla polemica degli ultimi giorni circa il tema della gestione rifiuti. Il settore vive oggi un paradosso: per alcune rilevanti filiere del riciclo mancano regole europee o nazionali che consentano di procedere alla trasformazione del rifiuto in risorsa.
“Chiediamo nuovamente a governo e parlamento di fare presto – afferma Fluttero –. Basta una semplice e immediata modifica al Testo unico ambientale che, in attesa di una normativa più organica, che richiede tempi più lunghi, dia la possibilità alle autorità territoriali di rinnovare a scadenza le autorizzazioni esistenti e di rilasciarne di nuove. Questo eviterebbe quanto sta accadendo oggi con centinaia di impianti autorizzati, che da anni garantiscono all’Italia una leadership europea nel riciclo, costretti a chiudere con grave danno per l’ambiente e la perdita di migliaia di posti di lavoro”.
Le imprese italiane del riciclo trattano ogni anno 56.5 milioni di tonnellate di rifiuti (escludendo i rifiuti da costruzione e demolizione) per un valore aggiunto che ammonta a più di 12.6 miliardi di euro e garantiscono 135.000 posti di lavoro, riducendo il consumo di materie prime nonché il ricorso a discariche e inceneritori.